TORNA ZEMAN, MA STAVOLTA NON E’ IL SUO 4-3-3 CHE DIVIDE

A lui certe cose non sono mai interessate, perchè lui è andato avanti sempre per la sua strada lungo la quale le sigarette ed il 4-3-3 non sono mai mancati. Zdenek Zeman non ha mai rinunciato al suo modulo, che è da sempre il suo marchio di fabbrica e chi ha provato a fargli cambiare idea si è scontrato con il suo sguardo ironico e tagliente e, forse, non ha neanche ricevuto una risposta perchè il suo volto diceva già tutto. E’ singolare, allora, come proprio nei giorni precedenti il ritorno all’Arechi del boemo, a Salerno sia rispuntata la questione sui pregi e difetti del 4-3-3 e sull’opportunità di accantonarlo. Almeno per una volta. Certo è che pretendere che Bollini cambi spartito sa di forzatura, perchè anche lui come Zeman è un assertore del 4-3-3 e vorrebbe legittimamente lavorare secondo la sua visione del calcio. A Salerno negli anni ci si è sempre divisi su chi stava dalla parte di Rossi e chi no, e la stessa cosa è accaduta nel periodo in cui sulla panca granata c’era Zeman. La verità sta nel mezzo o, forse, mai come stavolta non c’è. O almeno è molteplice. Da una parte, infatti, se una società sceglie un allenatore, deve poi sostenerlo e mettergli a disposizione i calciatori adatti al suo modulo; dall’altra, l’allenatore deve analizzare la situazione del momento e, magari, non escludere a priori dei correttivi che possano riguardare anche il modulo di gioco. C’è dell’altro, però. Quando si sceglie un allenatore, lo si fa dopo attente, almeno così dovrebbe essere, valutazioni e se si ingaggia un tecnico che imposta le sue squadre secondo il 4-3-3 va da sè che si è in presenza di un professionista che lavora ancor di più sul campo, perchè quel tipo di calcio attecchisce laddove i calciatori sono pronti al sacrificio fisico ma anche mentale perchè è un calcio che si basa sulla ripetitività all’infinito di certi movimenti e richiede grande applicazione per essere ben attuato. Proprio per questo, quando si opta per un allenatore che porta avanti un certo discorso tattico lo si dovrebbe ancor di più sostenere. Nulla vieta, a bocce ferme, che una società scelga un tecnico di altra tipologia, magari un po’ più duttile sotto l’aspetto del modulo, più votato alla gestione del gruppo che non al vero e proprio lavoro di campo. Tutto sta a scegliere. L’importante è che, fatta la scelta, la si difenda fino alla fine. Bollini potrà avere mille difetti, ma di sicuro nel bene e nel male non è un allenatore che Lotito non conoscesse, anzi. Ecco perchè se lo si invita a valutare altri atteggiamenti tattici in ragione delle caratteristiche dei calciatori ingaggiati, neanche tanto tempestivamente nella maggioranza dei casi, si fa un torto a lui e si finisce con lo sconfessare le proprie scelte. La questione principale è più alta. Non è il modulo o non è solo quello a fare la differenza, ma l’impostazione generale che la società ha dato al mercato e che l’allenatore trasmette sul campo alla squadra. E’ un vecchio problema, che si finge di ignorare per comodità. Anche questa è una scelta. Forse la peggiore tra tutte.

Autore dell'articolo: Nicola Roberto