Questione di punti di vista, di prospettive. Per Gian Piero Ventura la missione affidatagli da Claudio Lotito era ben chiara, per il patron di Lazio e Salernitana è cambiata in corso d’opera e non una sola volta. La telefonata galeotta di Lotito con un interlocutore che si può solo immaginare ha offerto l’immagine di un patron senza freni, neanche linguistici, arrabbiato a dir poco per la sconfitta con lo Spezia al punto da usare toni offensivi nei confronti dell’ex ct azzurro. Si può obiettare su qualche scelta di formazione fatta dall’allenatore, ma i termini usati non sono appropriati, e, chissà, che anche questo linguaggio risentito e colorito nei suoi confronti non abbia indotto Ventura ad accelerare i tempi di un addio che sembrava già scritto dopo la gara con lo Spezia. Le dichiarazioni del tecnico in sala stampa sapevano di congedo, ma nella lettera con cui ha salutato tutti Ventura ha precisato di non essere disponibile a trattare un eventuale rinnovo, quasi a prendere le distanze dalla società, come a lasciar intuire una differenza di vedute, tanto per tornare all’inizio della storia, sui programmi futuri. Non occorre fare troppa filosofia, né dedicarsi ad un’operazione di interpretazione, lettura tra le righe, facendo riferimento a ciò che è stato detto e a ciò che si è lasciato intendere. Basta riavvolgere il nastro e riascoltare le parole con cui Claudio Lotito presentava, nel luglio di un anno fa, Gian Piero Ventura alla stampa e confrontarle con quelle pronunciate dal tecnico ligure dopo la sconfitta con lo Spezia. Del resto, nella lettera di commiato, Ventura ha voluto ricordare proprio le premesse con cui era arrivato a Salerno, sottolineando come nel corso della stagione abbia valorizzato molti calciatori, alcuni dei quali di proprietà della Lazio, e rimarcando come, ad un certo punto della stagione, col gruppo abbia provato a fissare un obiettivo di classifica, quindi il raggiungimento dei playoff, cosa che la proprietà non gli aveva chiesto, salvo poi sbandierare in più occasioni, dinanzi ai tifosi, ambizioni di vittoria. Non si vince solo perchè si afferma di volerlo fare. Si vince dopo aver costruito, dopo aver seminato, dopo aver pianificato. La domanda è: quando la proprietà e la direzione sportiva della Salernitana hanno immaginato di aver fatto una di queste cose se è vero come è vero che in ogni stagione abbiamo assistito a cambiamenti continui nella rosa ed a ribaltoni tecnici (Ventura è stato il primo a concludere un campionato dal ritorno in B) che vanno nella direzione opposta? Resta saldo nella sua posizione il direttore plenipotenziario, Angelo Mariano Fabiani, mai messo in discussione dalla proprietà che lo ritiene funzionale alla sua idea di come si debba fare a calcio a Salerno, ossia improvvisando, dando in pasto a quella parte di piazza che, in totale buonafede, ancora spera o che ancora dà fiducia alla proprietà ed alla dirigenza che, come da copione, ha scaricato sul tecnico di turno le colpe di un mancato risultato sportivo dimenticando che, a gennaio, sarebbe bastato poco in sede di mercato per completare la squadra, il classico capro espiatorio.
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