Le motivazioni della sentenza di condanna in primo grado per abuso d’ufficio a carico di Vincenzo De Luca, rese ufficialmente note nel primo pomeriggio di ieri, non tolgono e non aggiungono nulla alla corsa dell’ex sindaco di Salerno verso la poltrona alla Presidenza della Regione. Resta la condanna, resta la legge Severino che, di fatto determinerà una sospensione – impugnabile – ad elezione avvenuta, resta la ferma determinazione del candidato del centro-sinistra a conquistare la poltrona oggi occupata da Caldoro. Resta, in verità, anche la ferma convinzione, più volte espressa da De Luca che, nel precisare che la condanna è per abuso d’ufficio e non per peculato – particolare non trascurabile – continua a pensare che il tutto sia avvenuto per un mero errore semantico, ovvero aver scelto per Di Lorenzo la carica di project manager e non di coordinatore del progetto. In verità scrivono i giudici “quell’incarico di project manager non era previsto da nessuna norma e lungi dall’essere finalizzato a perseguire esclusivamente una finalità pubblica, aveva l’unico scopo di svincolare Alberto Di Lorenzo, già capostaff di De Luca, dal gruppo di lavoro e attribuirgli una inventata posizione apicale con conseguente riconoscimento di una più sostanziosa retribuzione”. A dirla tutta la figura del project manager non era prevista dal codice degli appalti: al suo posto andava nominato un Rup, Responsabile unico del procedimento, così come si precisa, in un altro passaggio della sentenza che, comunque, l’incarico affidato a Di Lorenzo, non ha minimamente inciso sull’entità complessiva della somma sborsata, ma solo sulla ripartizione tra i soggetti chiamati in causa, soprattutto e che quello affidato a Di Lorenzo non fu un incarico fittizio in quanto il dirigente realmente si occupò dell’iter per la realizzazione dell’impianto.
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