Ventiquattro euro, più altri sei per le spese di spedizione: è il costo del pallone ufficiale della Lega B, quel pallone che Claudio Lotito dal primo giorno del suo avvento a Salerno ricorda, anzi rinfaccia, di aver riportato all’Arechi. Sempre più raggiante per le vittorie della sua Lazio, il patron romano sostiene di aver comprato anche i palloni, perchè pure quelli non c’erano dopo il fallimento della Salernitana di Lombardi, ma questa innegabile verità storica non toglie e non aggiunge nulla sotto l’aspetto dei meriti dei due cognati romani, investiti dall’allora sindaco De Luca, alla presenza e con il sostegno fragoroso di una gran parte della tifoseria presente a Palazzo di Città, del mandato di riportare in vita, prima, e poi sempre più in alto, la Salernitana, per Lotito e Mezzaroma una squadra di calcio come tante, molto di più per la gente di Salerno. I trecentomila, forse qualcosa in più, euro versati per cominciare l’avventura con l’allora Salerno Calcio rappresentano il costo, certamente gonfiato, di questo pallone simbolico che Lotito ama tirare sempre in ballo. Ed oltre all’attrezzo indispensabile per giocare, di certo il patron della Lazio ha profuso impegno, energie, soldi, ricorrendo a competenze, rapporti, conoscenze di cui la Salernitana si è giovata negli anni. Tutto giusto, tutto vero, tutto bello. Però, a tutto c’è un limite e Claudio Lotito da troppo tempo lo supera e lo fa apertamente e di proposito, perchè sa bene che le sue parole non stemperano ma esasperano i rapporti, già normalmente tesi, tra club e tifoseria. Alla vigilia di Natale e a pochi giorni di una partita difficilissima contro la matricola terribile Pordenone, che è seconda in classifica senza aver speso cifre da capogiro, Lotito ha bacchettato, rinfacciato, rimproverato, offeso l’ambiente salernitano, addebitandogli i continui fallimenti tecnici a cui la società che detiene insieme a Mezzaroma va incontro da cinque stagioni, in cui ha ingaggiato giocatori sul viale del tramonto, altri dal passato oscuro, ed altri ancora semplicemente scarsi, inadeguati a rappresentare la Salernitana sia per capacità tecniche sia per qualità morali e caratteriali. Calciatori senza anima e senza carattere, capaci solo di confidare al patron le proprie pene per la pressione della piazza, un racconto ai limiti della fantascienza, condito da perle del repertorio divenute dei classici di Natale come la tombola, l’albero ed il presepe. Salerno non è il bronx calcistico italiano, la periferia invivibile di cui Lotito continua a raccontare senza neanche più rendersi conto della gravità e della falsità di ciò che dice. Ce ne faremo una ragione se Minala ha declinato l’invito di tornare per l’ennesima volta a Salerno per via di presunte pressioni ambientali, proprio lui a cui è stata attribuita gloria imperitura per il gol partita al Partenio. Meglio farebbe il patron a chiedersi perchè i calciatori da lui ingaggiati non rendano. Due le possibilità: o sono scarsi o non si comportano nel modo giusto. Nel primo caso, la colpa è di chi li ha presi, quindi della proprietà e della dirigenza; nel secondo, anche perchè dei calciatori bisogna conoscere pregi e difetti, vizi e virtù prima di ingaggiarli. Quando Lotito cita l’esempio del Cittadella, non fa altro che aprire una porta già spalancata perchè a Salerno quel tipo di calcio predicato dal club veneto sarebbe visto di buon occhio, ma per attuarlo occorrerebbero altre figure professionali, con altra mentalità, altra visione del calcio, altre competenze. Francamente, quando il direttore sportivo dichiara in conferenza stampa che per avere la certezza di vincere un campionato, bisogna solo comprarlo, cadono le braccia. E così anche quando Lotito dice che Cerci è stato preso per volere della piazza. Palle, altro che palloni. Da appendere all’albero.
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