CANAPA TESSILE: UNA FIBRA SOSTENIBILE POPOLARE FIN DALL’ANTICHITÀ

Negli ultimi anni, l’interesse nei confronti dei prodotti sostenibili è cresciuto tantissimo. Gli utenti, infatti, sono sempre più sensibili nei confronti dell’impatto ambientale delle proprie scelte.

Questo ha portato a un aumento degli acquisti di fibre tessili frutto di filiere a basso impatto ambientale. Tra queste, è possibile citare la fibra derivante dalla canapa sativa.

Quali sono le proprietà di questo filato? Quale la sua storia? Scopriamolo nelle prossime righe di questo articolo.

Canapa tessile, un filato dalla storia antichissima

L’interesse nei confronti della canapa tessile da parte dell’uomo non è cosa recente. Da non dimenticare, infatti, è la sua popolarità fin dai tempi della comparsa delle prime forme di civiltà in Asia.

Per essere precisi, è possibile parlare di testimonianze relative alla coltivazione della cannabis in Cina fin dal Neolitico (dati riportati in un articolo pubblicato sulle pagine della rivista Economic Botany nel 1974).

In tempi antichi, la fibra tessile veniva utilizzata per produrre carta e non solo. Nei documenti storici ci sono tracce del suo impiego anche nell’ambito della fabbricazione di corde.

Impatto ambientale e peculiarità

Come già specificato, quando si parla della fibra di canapa si inquadra un filato dall’impatto ambientale sorprendentemente basso. Tra i motivi per cui è possibile fare questa affermazione rientra la facilità di coltivazione della cannabis anche in terreni difficili per altre piante.

In virtù di questa peculiarità, la canapa viene definita una pianta resiliente. Come mai tale caratteristica viene considerata un plus dal punto di vista della sostenibilità? Perché, grazie alla resilienza appena ricordata, la cannabis è una pianta che non comporta consumo di suolo.

Da non dimenticare è anche l’esigenza di una quantità d’acqua decisamente inferiore rispetto ad altri filati, come per esempio il cotone.

Quali caratteristiche ha il prodotto finale? Tra le principali rientra senza dubbio la resistenza. Un ulteriore aspetto da non trascurare quando si parla del filato di canapa riguarda il fato che, man mano che viene sottoposto a lavaggi, diventa sempre più morbido.

Si potrebbe andare avanti ancora molto a parlare delle proprietà di questa fibra. Nell’elenco è possibile chiamare in causa anche la capacità dei tessuti con cui è realizzata di garantire fresco durante i mesi estivi e caldo in quelli più freddi dell’anno.

Il ruolo (sorprendente) dell’Italia

Da quando è entrata in vigore la Legge 242/2016 nel gennaio del 2017, il nostro Paese ha visto la crescita di un business che si è rivelato a dir poco redditizio. La cannabis light legale, infatti, ha un giro d’affari di centinaia di milioni di euro e dà lavoro a circa 10mila persone.

Numeri interessanti che, per certi versi, non sono una sorpresa per il nostro Paese. Per rendersene conto, basta fare un salto indietro nel tempo fino alla fine degli anni ‘30 del secolo scorso.

In quel periodo, infatti, il Bel Paese occupava una posizione di leadership in campo internazionale, europeo in particolare, per quanto riguarda la coltivazione di canapa e la produzione di fibra tessile derivate da questa pianta.

Cosa ha messo a tappeto questo primato che, ai tempi sopra citati, il nostro Paese condivideva con la Russia? Diversi fattori. Da un lato è possibile citare le leggi proibizioniste (che, a detta di chi lavora nel settore della cannabis light, non sono state certo “mandate in pensione” con il testo normativo sopra citato), dall’altro, invece, non si possono non chiamare in causa la diffusione delle fibre artificiali, contraddistinte da bassi costi di produzione ma a discapito dell’ambiente. I numeri sempre più alti della canapa tessile negli ultimi anni, però, stanno cambiando positivamente le cose.

Autore dell'articolo: Redazione