CASO PISANO, LE RAGIONI DEI LAVORATORI

Era il 2016. A giugno la Procura dispose il sequestro preventivo dell’intero impianto produttivo delle Fonderie Pisano di Fratte. Si leggeva negli atti che le attività della fabbrica costituivano un pericolo attuale e concreto, sia per l’ambiente esterno e la salute della popolazione, sia per gli stessi lavoratori.
Un provvedimento raggelante per tutti, dove si metteva in discussione la validità dell’autorizzazione e la sua legittimità e si ponevano serissimi dubbi sul rispetto dei limiti e delle prescrizioni imposti dalle norme.
Da qui, ma la storia di questa vertenza è nota e data anni prima, il dramma della contrapposizione tra salute e lavoro ha conosciuto, nostro malgrado, tensioni inusitate dove ogni parte ha difeso e rivendicato le proprie ragioni, senza se e senza ma.
Era necessario? Probabilmente sì, se guardiamo con gli occhi di quella fase storica. Ma guardare indietro giova non solo per sapere da dove veniamo, ma anche per rivedere i nostri errori.
Se c’è qualcosa che abbiamo cercato di non fare è stato proprio quella di assumere posizioni che guardassero solo alle nostre ragioni. Dinanzi a provvedimenti assunti dagli organi di legge e da quelli di controllo ci siamo ovviamente sempre affidati al corso delle indagini e delle verifiche a farsi, senza tuttavia non rimarcare che ogni decisione da assumere coinvolgeva due diritti costituzionali, quello al lavoro e quello alla salute di tutti.
Da quel giugno 2016, passando per mesi e mesi di profonde preoccupazioni, di chiusure forzate e riaperture dello stabilimento, di rischio di chiusura definitiva e intimazione dei licenziamenti, di ricorso alla cassa integrazione ed ai contratti solidarietà, ci ritroviamo oggi a rivendicare, ancora costantemente, un diritto al lavoro stabile e con reali prospettive future che tutti dicono di voler individuare in un nuovo e moderno stabilimento produttivo da realizzarsi in area industriale.
Eppure, ci rammarica registrare quotidianamente che la realtà dei fatti spesso viene superata dalle ragioni urlate.
Pochi, dopo anni di vicende, sembrano avere ancora oggi il coraggio di riconoscere (o conoscere), la realtà dei fatti, quella che viene descritta e dimostrata dagli organi di controllo e nelle sedi di giudizio.
Quella che, ai giorni nostri, dice che l’impianto può lavorare nel rispetto delle leggi e delle norme, che il lavoro dell’impianto non costituisce pericolo “esiziale” per alcuno, che tra i primi a pagare le spese di tutta la vertenza sono gli operai che scontano il prezzo di un lavoro ridotto chissà per quanto ancora, che gli organi di controllo hanno dimostrato di aver saputo operare alacremente e continueranno alla stessa maniera a farlo, secondo tutte le prerogative loro assegnate a tutela della salute di tutti.
Giova rimarcarlo, con determinazione e coraggio ripetiamo, perché solo ricordando questo si più davvero traguardare quel diritto al lavoro stabile e con reali prospettive future.
Perché l’altra verità è che, in tutti questi anni, si sono fatte tante ipotesi sulla realizzazione di nuovo impianto in area industriale, ma sono tutte naufragate, spesso senza una reale motivazione tecnica od oggettiva. Anche qui, è stata strenuamente difesa e urlata ogni ragione, è stata rinviata al mittente ogni argomentazione a favore, ipotecando il futuro di tanti lavoratori e, non ultime, le residue prospettive di sviluppo industriale di questa provincia.
Quanti appelli al buon senso! Ma l’atteggiamento del NIMBY, non nel mio cortile, ha trovato terreno fertile ovunque.
Non c’è traccia in Italia di casi in cui un’azienda che, manifestata l’intenzione di investire e dare lavoro, abbia subito così tanto contrasto nel suo progetto. La posta in gioco è altissima: centinaia di famiglie, attuali e future, potrebbero guardare al domani senza la disperazione negli occhi. Solo non conoscendo la realtà dei fatti di quel progetto o seguendo illogiche paure si può arrivare a mettere in discussione questa possibilità e a mettere a rischio il futuro. Perché anche di questo si è trattato e anche questo non possiamo nasconderlo.
Noi, le RSU e tutti i lavoratori delle Fonderie Pisano, oggi più che mai vogliamo continuare a guardare a quel futuro, vogliamo continuare ad avere quel coraggio di lottare, di sperare e di guardare in faccia alla realtà dei fatti e di urlarli, quelli sì, perché quel buon senso lo vogliamo praticare, senza recriminazioni o ritorni al passato.
Per questi motivi, non faremo solo appello all’ascolto delle nostre ragioni, ma avvieremo una campagna di confronto con le persone, sui territori; porteremo nelle piazze, nelle comunità, tra la gente i documenti che provano che il nostro obiettivo per il futuro è concreto ed è possibile.
Chiediamo su questo il sostegno di tutti, da ogni singola persona a quello istituzionale. E mentre ancora leggiamo che qualcuno si chiede cosa è stato fatto in passato, noi ci auguriamo, invece, che chiunque sia nel presente si attivi con noi per conoscere e far conoscere cosa c’è e cosa è ancora da fare. Abbiamo esponenti sul territorio di tutti i livelli istituzionali, che si facciano avanti, perché quella montagna di ragioni urlate va superata prima possibile se vogliamo davvero tutti difendere, come proclamiamo, quei due diritti che la nostra bella Costituzione prevede e tutela.

Autore dell'articolo: Marcello Festa