Il Benevento sfata il tabù Arechi tornando a vincere a Salerno a 43 anni di distanza dall’ultimo blitz, risalente alla Pasqua del ’76 quando espugnò il Vestuti con il punteggio di 2 a 1. Ieri sera ai sanniti è bastato un cross di Insigne per conquistare i tre punti, complice il colossale errore di Micai, forse tradito dalla traiettoria del pallone. Ridurre il tutto all’errore del portiere di casa, purtroppo non il primo della sua stagione, sarebbe, però, sbagliato e darebbe l’ennesimo alibi a chi ha allestito la squadra ed anche a chi l’ha messa in campo. Perchè il progetto tecnico è già stato ampiamente bocciato col passare delle giornate e le poche correzioni invernali non hanno certo cambiato il volto di una squadra, costretta ad aggrapparsi all’esperienza ed alla conoscenza del mestiere del suo unico attaccante di razza, ossia Calaiò, appena arrivato e reduce da molti mesi di inattività ma comunque pronto a sfruttare quell’unico pallone arrivatogli e a realizzare il gol del pari, annullato per un discutibile fuorigioco. Onestà intellettuale, però, anche in questo impone di andare oltre l’episodio specifico. Se errore è stato, è stato per una questione di centimetri e, comunque, il fatto che prima di quell’azione incriminata non si fosse mai tirato in porta è un dato che inchioda tutti a precise responsabilità. E qui non si può non tirare in ballo chi ha costruito la squadra in estate, fallendo in pieno la scelta degli attaccanti ed aggravando la situazione a gennaio quando, per far spazio a Calaiò, ha dovuto cedere Bocalon, il capocannoniere della squadra, dal momento che i colpi estivi non avevano trovato altre società interessate alle loro prestazioni. L’ennesima panchina di Djuric e le parole di Gregucci in sala stampa sono la conferma più inconfutabile di quanto sia inconsistente ed impalpabile il bosniaco, mai in grado di incidere ed ormai relegato al ruolo di comprimario a dispetto delle cifre da capogiro investite in estate per il suo acquisto e la sua patrimonializzazione, termine ora molto in voga al pari della passione per il canottaggio che pare aver contagiato i vertici societari e non solo stanti i ripetuti inviti a remare tutti insieme verso non si sa cosa. La partita di ieri è stata l’ennesima conferma delle difficoltà della Salernitana a farsi rispettare in casa e non perchè l’Arechi spaventi i calciatori, ma semplicemente perchè questa squadra non sa sviluppare gioco e non ha in Jallow un terminale offensivo affidabile, anzi la costanza del gambiano nell’andare sempre in fuorigioco è stata l’unica nota degna di cronaca della sua partita. E l’accanimento di Gregucci nel proporre Djavan Anderson come trequartista ha trovato nell’indolenza e nella leziosità dell’olandese un’altra risposta sconfortante. Basti un dato: ieri, tra i calciatori impiegati, il bomber della squadra era Casasola, un difensore. Il Benevento ha vinto perchè è squadra, pur non avendo fatto cose strabilianti, ma semplicemente sa cosa fare in campo. La papera di Micai ha facilitato il compito dei sanniti, ma non si può essere tanto ciechi ed ottusi da ridurre tutto a questo episodio. Certo, nel calcio gli episodi contano, ma le prestazioni offerte dalla Salernitana dopo la vittoria di Palermo sono state tutte identiche: senza idee e senza anima, con zero tiri in porta ed un vuoto che dal campo si allunga alla panchina che deve far riflettere e, forse, anche preoccupare perchè la sensazione è che proprietà e dirigenza non abbiano l’esatta dimensione dello scempio che stanno propinando e, forse, i cori di contestazione a fine gara potranno servire a riportarli sulla terra e a rendersi conto che qualcosa, per non dire tanto, sia stato sbagliato.
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