Costruito per smaltire i rifiuti umidi trasformandoli in energia, l’impianto di Compostaggio di Salerno, per molto tempo considerato dall’amministrazione comunale come il simbolo del riscatto ambientale dell’intero Mezzogiorno, è oggi poco più che una scatola vuota peraltro costata tantissimo e che secondo l’Anac “Non recupera quasi nulla né in termini di materia né di energia”. A conti fatti venticinque milioni di euro per conferire ogni anno 27mila tonnellate di umido e ricavarne solo 2mila di compost. E così Salerno, considerata per anni tra le città più efficienti nella raccolta differenziata, in realtà – stando alla relazione dell’ANAC – avrebbe garantito un servizio approssimativo, se non addirittura dannoso ai fini dello smaltimento in quanto l’umido è stato poi trasferito per lo smaltimento in una discarica calabrese. Ad accrescere ulteriormente le criticità e il cattivo funzionamento dell’impianto gestito dalla Daneco ha provveduto, poi, anche un altro elemento solo all’apparenza secondario, ovvero l’utilizzo – per la frazione organica – di sacchetti non biodegradabili, o quantomeno inadatti perchè non compostabili. Morale della favola, questa cattiva pratica – mai posta all’attenzione della comunità dall’ente gestore e prima ancora dal Comune di Salerno – ha di fatto mandato in tilt tutto il sistema con un considerevole aggravio di spese a carico dei contribuenti. Come fare, allora, per riavviare un ciclo realmente virtuoso quando il sito di compostaggio ritornerà ad essere operativo. Il comune di Salerno sta sperimentando l’utilizzo di cestelli traforati per la raccolta dell’umido, un espediente che permette la traspirazione del rifiuto non generando liquami e che avvia spontaneamente la reazione di compostaggio. L’esperimento è attualmente in uso in tre lotti del Parco Arbostella
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