Ottenuta la salvezza, ora è tempo di tirare le somme. Salerno ha vissuto mesi difficili, in cui la tensione è progressivamente salita, nei quali si sono alimentate divisioni e frizioni di cui non si ha memoria e che Claudio Lotito avrebbe potuto stemperare e diradare con altre parole e non con quelle adoperate ieri al Penzo, un attimo dopo aver salvato la categoria. Il Lotito che segue la squadra in trasferta, che scende negli spogliatoi e rianima quasi Micai è un patron capace di capire il momento, quello che, a giochi fatti, riprende a sparare nel mucchio, accusando l’ambiente per i risultati negativi della squadra dimostra di non avere compreso o meglio di non voler davvero comprendere i motivi che hanno portato i granata a giocarsi la salvezza ai playout. Non si può mettere in discussione la passione, l’attaccamento, il senso di appartenenza della piazza, semmai ci si dovrebbe interrogare sulle cause che hanno spinto tanti tifosi ad allontanarsi dall’Arechi. Nelle sue dichiarazioni post partita Lotito ha ammesso alcuni errori, facendo riferimento anche a quelli dei suoi dipendenti e collaboratori. Ed il punto è questo. Mai come in questa stagione l’operato di Angelo Fabiani è stato al centro di un dibattito ampio, acceso, che ha visto nascere fazioni e conseguenti divisioni. Il direttore sportivo granata ha precise responsabilità ed il suo operato è stato bocciato dal campo. Gli errori in sede di mercato sono noti, ma ciò che più rileva, ciò che lo mette difronte a responsabilità ineludibili ed innegabili è la sua concezione del calcio. Fabiani è un dirigente esperto, che può vantare un palmares ricco, ma rivolto perennemente al passato, come dimostra la sua atavica attrazione per calciatori a fine corsa, ingaggiati con contratti pluriennali. Anche in questa stagione ne sono arrivati e non sono mancate le crisi tecniche con tanto di sostituzione in panchina, altro marchio di fabbrica del diesse romano, che nella sua ormai lunga storia salernitana non è mai riuscito a finire un campionato con lo stesso allenatore con cui lo aveva cominciato. Un calcio vecchio, improduttivo, scontato, proteso al passato senza slanci verso il futuro, e non basta sbandierare ai quattro venti il rimodernamento del Mary Rosy per ottenere una sorta di sconto rispetto ai troppi errori commessi, anche nella gestione dei rapporti e nella comunicazione con l’esterno. Salerno attende e merita un nuovo inizio, un nuovo capitolo che dovrà essere scritto con altre parole ed altri attori e starà a Lotito dare risposte concrete e rapide. Ieri il patron ha confermato Menichini in panchina in forza della clausola salvezza inserita nel contratto, mettendo da parte la tentazione Ventura, da mesi covata sotto traccia. Menichini ha portato alla salvezza una squadra a pezzi sotto tutti i punti di vista, compiendo una vera impresa. Dopo la promozione in B e la salvezza ai playout nella stagione successiva, quando subentrò a Torrente, il tecnico toscano ha fatto tris ed ora è pronto a cominciare a costruire la Salernitana che, come Lotito ha garantito qualche tempo fa ai tifosi, dovrà lottare per il vertice. Giova ripetersi, però. La serie A è un sogno, una suggestione, non un assillo né un obbligo. Ciò che è obbligatorio, invece, è la volontà di fare calcio, attraverso scelte programmatiche che guardino sempre al futuro e di cui non c’è stata traccia né in questa né nelle precedenti stagioni. Dopo quattro anni di anonima militanza in cadetteria, è il momento di fare scelte nette, decise, aprendo un altro capitolo all’insegna delle idee, della competenza, della trasparenza. Un ciclo s’è chiuso, ora tocca a Lotito aprirne un altro scegliendo le persone giuste ed anche le parole giuste per instaurare un dialogo proficuo e costruttivo con la città.
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