SALERNITANA: LA STORIA DI SEMPRE SI RIPETE E SPEGNE ANCHE LA… LIBIDINE

E’ stato il principale problema della scorsa stagione, lo è diventato anche in quella attuale: il gol è un rebus per la Salernitana, un mistero glorioso che si trasforma in ossessione, un tormento tale da procurare estasi totale quando, infine, si centri l’obiettivo. Solo che anche alla Salernitana di Gian Piero Ventura, quella del fraseggio fitto e della costruzione dal basso, della ricerca del gioco sempre e comunque, quella, insomma, che aveva fatto riaprire i cuori alla speranza dopo annate buie e deprimenti, questo obiettivo, il gol, è divenuto irraggiungibile. Quattro gol su rigore di Kiyine, la gemma su punizione di Maistro e l’autorete del livornese Di Gennaro contribuiscono a dare corpo ad un bottino totale di quindici reti in tredici giornate di campionato. Un dato non sfavillante, anzi. Poco, troppo poco, specie in relazione al fatto che la Salernitana produca una notevole mole di gioco, riuscendo a controllare il possesso del pallone per larghi tratti delle partite. Tuttavia, arrivati al dunque, i granata si smarriscono. Fuori casa la Salernitana è rimasta all’asciutto in tre delle ultime quattro gare, in cui ha sempre perso. In casa, è andata in bianco col Benevento, ma solo in due occasioni, contro Pescara ed Entella, ha segnato più di una rete e, guarda caso, in entrambe le circostanze ha vinto, non riuscendo, però, a centrare i tre punti in situazioni di vantaggio evidente contro Chievo, Frosinone e Perugia, quando si è trovata con l’uomo in più e/o con l’avversario sotto nel punteggio. Non è un caso se queste situazioni si ripetano in questa stagione come nelle precedenti: la mancanza di qualità in mezzo al campo e di un bomber davvero spietato in area di rigore sono lampanti e spiegano molto dei numeri risicati e deludenti collezionati dalla Salernitana in serie B nell’ultimo quinquennio. Basti pensare che, dopo la promozione in cadetteria del 2015, in 175 gare di campionato la squadra granata ha conquistato solo 48 successi a fronte di 62 pareggi e 65 sconfitte, un bilancio in rosso che fotografa una perenne situazione di affanno, di rincorsa, di assestamento e certifica una mediocrità di rendimento che è figlia di una mediocrità nella programmazione e nella pianificazione e, dunque, nella costruzione degli organici in cui hanno fatto la loro comparsa anche calciatori dal passato importante e dagli ingaggi robusti, ma ormai scarichi o, comunque, mai davvero centrali nel progetto sempre provvisorio dell’allenatore di passaggio in questa o quella fase della stagione. Una mediocrità a cui si è votato il trio Lotito- Mezzaroma- Fabiani, che non ha mai davvero alzato la famosa asticella, alternando colpi di mercato potenzialmente validi ad innesti di calciatori assolutamente inadatti a garantire una resa ed una tenuta tali da poter rincorrere un determinato obiettivo e sempre, poi, propensi a cambiare in corsa la guida tecnica, in ossequio ad un copione che, evidentemente, deve intrigare parecchio e che, chissà, potrebbe essere rispettato anche in questo campionato, cominciato tra squilli di tromba, sbandierando l’etichetta della garanzia assoluta rappresentata da mister libidine, al secolo Gian Piero Ventura, a cui si è concesso il pupillo Cerci, che era, però, un grande punto interrogativo per troppi motivi, ma non si è dato quel calciatore pronto subito per dare alla squadra, nel complesso giovane e non da disprezzare, quel qualcosa in più nella costruzione come nella finalizzazione del gioco. Ora c’è la partita con l’Ascoli che sa già di prova d’appello, di spiaggia non ultima ma quasi per evitare di consegnarsi ad un dicembre freddissimo e non per il meteo ma per via di un calendario non favorevole e, soprattutto, di una tendenza a cui la Salernitana non si sottrae, cioè quella di arrivare corta, in tutti i sensi, alla sosta invernale con una classifica ed un entusiasmo calanti e con la conseguenza di non rendersi attrattiva sul mercato per quei calciatori che potrebbero spostare gli equilibri ma che vogliono soldi sì, ma anche e soprattutto la certezza di poter lottare per il vertice, operazione non semplicissima quando il distacco dalla vetta comincia ad essere in doppia cifra. La crisi del gol ed il mal di trasferta, ma anche le sole due vittorie interne che, si spera, diventino tre sabato pomeriggio, non sono da imputarsi a questo o quell’allenatore ma hanno cause ultime più profonde da individuarsi nella mancanza di capacità o volontà, o di entrambe chissà, di rinforzare la squadra nei ruoli cardine perchè se si afferma di voler vincere e di aver costruito una rosa più che competitiva bisogna poi avere l’onestà di andare a spulciare nel vissuto dei calciatori arruolati per la missione. E se in questa squadra in pochi, pochissimi, hanno vinto qualcosa in carriera, se chi dovrebbe dirigere il traffico in mezzo al campo o guidare la difesa o garantire gol in proporzione all’entità del costo del suo cartellino hanno finora giocato quasi sempre per non retrocedere, non si può sperare che la sola quotidiana frequentazione con mister libidine possa da sola bastare per realizzare in uno, due mesi una trasformazione così radicale e profonda che tocchi la testa ed il cuore e di cui, in ultimo, beneficino anche i piedi in senso stretto.

Autore dell'articolo: Nicola Roberto